Siamo in un tempo di naufragio. Il modello occidentale capitalistico e la stessa Europa, che ha totalmente sposato e promosso questo modello, sta navigando in acque molto tempestose.
Questa Europa che ha rivolto il suo sguardo più verso l’Oceano Atlantico che verso il Mediterraneo ha una sfida storica importante da affrontare.
Continuare a percorrere la strada intrapresa oppure avere il coraggio di costruire una nuova Europa, più sociale, che sia in grado di proporre un modello di società alternativo alla massificazione e omogeneizzazione che la globalizzazione propone? Sarà in grado di fare autocritica sulla politica fallimentare dell’euro accettando, invece, le spinte sempre più forti di Movimenti del Sud Europa di uscire dall’Eurozona?
Questa Europa è, dunque, costretta ad interrogarsi sul suo futuro e sulla sua identità. Più volte nella storia ha attraversato crisi e rinascite: dopo i due conflitti mondiali ha dovuto accettare il tramonto degli Stati Nazione per poi attraversare il periodo della guerra fredda in cui due grandi potenze si sono confrontate, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e, infine, con la caduta del Muro di Berlino e il crollo del comunismo, si è totalmente lasciata catturare dal fascino del capitalismo. Un’Europa che ha guardato più verso l’Oceano che verso il Mediterraneo come l’Ulisse di Dante – spiega molto bene la filosofa Caterina Resta – che non è più l’eroe di Omero, del ritorno in patria, ma è l’eroe della conoscenza che si spinge oltre le colonne d’Ercole per aprirsi
ad uno spazio oceanico, l’infinito mare di una conoscenza senza più vincoli. Oltre quell’estremo limite, lo divora un’ansia tutta moderna di provare, tentare, saggiare, sperimentare, infine, l’ignoto. È colui che non sa resistere al canto di sirena dell’oceano, spazio assolutamente delocalizzato. L’Ulisse atlantico, quello descritto appunto da Dante, è l’uomo incapace di sentire la misura mediterranea che continuamente frena il mare con la terra, poiché la volontà di potenza, di espansione e il desiderio dell’illimitato hanno preso il sopravvento.
Da dove arriva, infatti, il processo di mondializzazione, se non da quel richiamo potente, quanto provocante, proveniente dal primo spalancarsi dell’Oceano nell’era delle grandi scoperte geografiche? Scrive ancora Caterina Resta. Tuttavia, solo l’America, il Nuovo Mondo, ha saputo davvero incarnare quello spirito oceanico che l’Inghilterra aveva inaugurato. Fin dal suo nascere, infatti, l’America è diventata straordinario laboratorio della pratica del non limite, fin dall’inizio incapace di tracciare confini, di segnare frontiere. Ora questo Oceano è divenuto universo, si è fatto mondo, nel segno di un universalismo piatto e uniforme come la liscia distesa di un mare che non conosce terra, che ha cancellato confini ma, con questi, anche ogni possibilità di confronto e di dialogo rispettoso delle differenze. Questo mondo ormai unificato e uniformato dell’era globale, questo impero mondiale oceanico, lungi dal garantire una pace perpetua, produce guerre e conflitti sempre più ingovernabili.
L’Europa che si è lasciata ammaliare da quel pensiero unico dominante (nata storicamente sui suoi territori) riducendo ad unicum qualunque differenza ha perso così la sua anima mediterranea.
Un’anima che accoglie le innumerevoli differenze proprio perché nel Mediterraneo si sono, da millenni, confrontate culture, religioni e civiltà diverse. Questo mare che unisce e che divide allo stesso tempo, capace di trasformare lo scontro in incontro è un luogo unico al mondo, spazio di condivisione tra popoli molto diversi tra loro che, pur nel dialogo, vogliono restare se stessi, rispettando la propria “differenza”.
Da questo pluriverso, spiega sempre Caterina Resta, è nata l’Europa. Recuperare per l’Europa la vocazione mediterranea significa dunque recuperare la propria identità e quel baricentro smarrito per aver risposto al richiamo dell’Occidente oltreoceano dimenticando che “la sua storia è compresa proprio entro le sponde del Mediterraneo”.
E, ancora, recuperare la vocazione mediterranea significa proporre un’alternativa al modello globalizzato che riduce ad un unicum e immaginare, al contrario, una società in cui le molteplici culture si possono confrontare in un dialogo rispettoso delle differenze. Ma un compito importante, in questo processo di rinnovamento, spetta sicuramente alla politica dei singoli Paesi del Sud Europa e dell’Europa nel suo insieme che hanno da sempre relegato invece la “questione mediterranea” ai salotti degli intellettuali svalutandone l’importanza.
Una politica miope, quella dei Paesi del Sud Europa, che ha trascurato quanto fosse importante imporre in Europa lo spirito mediterraneo.
Una politica, invece, strategica, quella del Nord Europa, interessata a spostare verso Est e verso gli Stati Uniti gli interessi di tutta l’Europa.
I Paesi Europei del Sud si sono addormentati in un lunghissimo sonno perdendo potere e visione e ora il Mediterraneo è diventato solo un mare di problemi dove ogni giorno imbarcazioni piene di migranti
approdano sulle nostre coste. La domanda cruciale è se allora avremo la capacità, noi popoli del Sud di imporre finalmente in Europa la vocazione mediterranea. Saremo cioè capaci di recuperare la nostra
forza e il nostro potere per cambiare direzione, per accompagnare l’Europa intera a riscoprire le sue radici mediterranee e imporre un nuovo modello di società?
Saremo capaci – come scrive il sociologo Franco Cassano – di pensare al Sud non alla luce della modernità ma al contrario di pensare la modernità alla luce del Sud? Il pensiero meridiano di Cassano indica una strada da percorrere in cui il Sud può recuperare finalmente un pensiero autonomo per immaginare un’altra forma di vita. “Il Sud, con la sua lentezza, con tempi e spazi che fanno resistenza alla legge dell’accelerazione universale può diventare una risorsa”.
Di fronte all’illimitatezza delle logiche della globalizzazione, la vocazione mediterranea può farci recuperare anche quel senso del limite, quel senso della misura capace di frenare la superbia dell’uomo, presupposto indispensabile per poter dialogare anche con le altre culture e con l’Islam innanzitutto, i cui popoli dallo stesso mare vengono attraversati.
Avere il coraggio di volgere lo sguardo verso il Mediterraneo significa recuperare le basi fondamentali da cui è nata l’Europa: l’Identità plurale, l’accoglienza del diverso da sé, e il senso del limite e della misura.
Dando forza allo spirito mediterraneo, in definitiva, l’Europa potrebbe ritrovare le sue origini lasciando andare quell’attrazione per l’infinito e l’illimitato che l’ha portata a fare proprio il modello americano e
potrebbe, allo stesso tempo, indicare una nuova strada, un’Europa più vicina alle comunità locali, più solidale capace di anteporre alle logiche del profitto quella del bene comune, all’interesse di uno quello di tutti.
Scrivi commento
GABRIELE SANTI (sabato, 02 dicembre 2023)
Un bellissimo messaggio pieno di spunti interessanti!